Mi sono affezionata in fretta a Pescara. Sarà che qui sento la presenza del mare anche quando non lo vedo e che il vento soffia l’odore salmastro fino alla stazione.
Per riprendere una citazione del film Il Pianista, Pescara è un luogo con pochi tasti da suonare. Quantomeno rispetto a Milano, da dove provengo. E dove c’è meno scelta, c’è forse più serenità.
Ma facciamo un passo indietro.
Vivo a Pescara da quattro anni. Mi correggo, abito a cinque minuti in auto da Pescara, in un paesino dal nome buffo, Sambuceto, che mi diverto ancor di più a chiamare Sambucity. Il centro abitato non ha nulla di speciale (case basse, industrie e centri commerciali) ma ci sto bene perché è tranquillo, ha un bel mercato il venerdì e c’è la vista della Majella proprio di fronte.
Mi ci sono trasferita da Milano, un anno dopo aver conosciuto il mio compagno, Marco, romano fino al midollo che si trovava “provvisoriamente” in Abruzzo per lavoro da circa 4 anni.
Tra due eterni transitori ci siamo amati subito.
La soluzione più ovvia sarebbe stata che lui si spostasse a Milano, invece ho preferito muovermi io. E così, un giorno di agosto del 2016 ho caricato fino al collasso la C3 e guidato verso sud senza mai fermarmi, come se avessi fretta. Ed era vero perché finalmente l’atto concreto di traslocare mi liberava dalle strette allo stomaco e le decisioni difficili che tocca sopportare prima di ogni grande cambiamento.
All’altezza di Ancona è spuntato il mare e ho sentito che da quel momento in poi sarebbe diventato parte della mia vita. Esattamente come lo era stata la tangenziale di Milano ogni giorno per 16 anni. Tanta roba.
Pensate che al mare mi ci sia abituata? Neanche per idea, ogni volta che compare all’orizzonte mi stupisce come quel giorno che fece capolino dietro una curva dell’A14. Ma non sono qui per raccontarvi la mia vita ma perché sono anni che voglio dedicare alcune righe a Pescara per la quale alterno gratitudine, rabbia e pensieri poetici.
Il mio personale punto di vista sulla città
Pescara non è carismatica però la sento rassicurante. A colpo d’occhio, la definirei una signora di mezza età dagli splendidi tratti ma vestita male, poiché lo sfruttamento edilizio ne ha un po’ oscurato la bellezza. Per parlare della sua atmosfera, può sembrare un po’ chiassosa quando il lungomare è pieno zeppo di ombrelloni; torna riflessiva verso metà settembre, quando si stringe in un cappotto leggero e ritrova la calma.
Tutto sommato frequento poco la città, specie d’estate. Passeggio tra le sue strade pedonali — scacchi bianchi e neri — e la sua spiaggia immensa più spesso nelle altre stagioni, quando i bar del centro sono allegramente affollati e decine di persone che fanno running sul marciapiede che costeggia stabilimenti ormai chiusi e malinconici.
In attesa dell’estate che verrà, i pescaresi si godono la vita e io vengo a camminare lungo la riva, custode di tanti pensieri che ho fatto in questi anni. E ogni volta che maledico le mie debolezze, mi basta guardare la natura che mi circonda per ritrovare un senso alle mie scelte, per ricordarmi che va tutto bene.
Una bellezza mancata
Oggi non si direbbe, ma quando fu fondata, circa cento anni fa, con i suoi villini liberty e le palme, Pescara era piena di grazia. Ma la Seconda guerra mondiale rase al suolo tre quarti degli edifici, e da quel momento la città è stata ricostruita senza amore, né fantasia. O così a me sembra ogni volta che arrivando da Sambucity vedo un’avvilente colata di cemento che mortifica un paesaggio bellissimo.
C’è un motivo preciso che l’ha portata a diventare così: finita la Guerra migliaia di abruzzesi si sono riversati qui dalle campagne alla disperata ricerca di lavoro e di una casa. Il bello era cosa superflua, servivano posti letto. Tantissimi posti letto. Ecco perché, dagli anni ’50 in poi, hanno costruito senza sosta usando ogni spazio disponibile.
Tanto che oggi Pescara è tra i primi capoluoghi italiani per densità (mentre l’entroterra si spopola ogni anno di più) e si presenta come una distesa di condomini alti e sciatti che si rubano luce a vicenda e opprimono vie anguste e a senso unico.
In auto mi ci perdo sempre, e fatico più qui a trovare parcheggio che a Roma o a Milano. Oltre a farcire i marciapiedi di una galassia di garage e passi carrai, gli urbanisti non hanno risparmiato nemmeno i nomi delle strade, raggruppandoli categorie non proprio fantasiose: città e regioni italiane vicino alla foce del fiume Pescara e fino alla stazione; poeti e inventori sulle arterie nei pressi della riviera, le più prestigiose, dove per fortuna sono rimaste in piedi poche, graziose villette Liberty costruite negli anni ‘20 del 900, quando l’attuale Pescara Nord si chiamava ancora Castellamare Adriatica.
Oggi ogni villino espone il nome della famiglia che l’ha fatta erigere, o di una persona amata, su una targhetta all’ingresso: Villa Clemente, villa Antonietta, Villino Massignani, Villino Bianco e così via.
Dalla spiaggia non mi stanco mai di cercarle con lo sguardo, lungo la riviera. Cancello mentalmente le abitazioni più nuove che le sovrastano di uno o due piani e immagino come doveva essere il lungomare cent’anni fa: una sequenza di eleganti palazzine con bovindi e terrazzini da cui gli aristocratici proprietari vedevano sorgere l’alba sull’Adriatico, come dentro a un quadro di Hopper.
Se le avessero mantenute tutte in piedi, anziché abbatterle per costruire luoghi senza storia, Pescara sarebbe incantevole.
In volo sulla città
Per farvi capire com’è strutturata la città provate a chiudere gli occhi e immaginatevi di essere un uccello in volo da nord a sud.
A est vedete mare a perdita d’occhio, a ovest potete scorgere dolci colli sui quali si arrampica un numero incalcolabile di condomini sparsi a casaccio. Venendo da nord avrete superato gli alberghi monumentali di Montesilvano, mentre noterete come a sud Pescara si fonde con la graziosa cittadina di Francavilla.
La zona meridionale è la più elegante, con la Pineta Dannunziana, l’Aurum, edificio considerato il cuore culturale di Pescara, oltre a diverse villette liberty e ampi viali alberati.
Il cuore storico di Pescara si esaurisce in due viuzze pedonali e parallele, Corso Manthoné e Via delle Caserme, con case a un piano dal sapore di altri tempi. Ma chissà perché la città quasi le ignora.
Di giorno rimangono praticamente deserte e solo la sera si animano grazie a qualche pub e ristorantino. Questo angolo di storia benedetto da Dio si intravede percorrendo la soprelevata che dall’entroterra costeggia il Porto Canale e squarcia ancora una volta il volto di Pescara. All’altezza dello svincolo Pescara Vecchia/Viale Marconi guardo sempre con affetto questo circoscritto tappeto di tegole, rischiando un incidente ogni volta.
Che vi devo dire? Odio l’indifferenza che sembra avere la città per la poesia di quei tetti antichi soffocati dai piloni della sopraelevata.
Ma torniamo a volare in alto. Da Corso Manthoné superiamo il fiume Pescara ed eccoci nella zona più commerciale, con le vie dello shopping, il quadrilatero delle Merci dove si concentra la movida, e la stazione di Pescara Centrale, un lungo palazzo a specchio che sorge di fronte a un immenso parcheggio, raccapricciante da vedere ma comodissimo per parcheggiare.
Una volta scesi dal treno o dalla macchina la spiaggia è a meno di 1500 passi. Per arrivarci si attraversa un percorso interamente pedonale che sinceramente mi rinfranca ogni volta che ci passo.
Si tratta di una larga strada commerciale, Corso Umberto I, da cui se ne aprono altre più intime, un allegro e ampio reticolato lastricato a scacchi bianchi e neri dove sfrecciano felici biciclette e monopattini tra passanti che guardano le vetrine o chiacchierano seduti ai tavoli dei bar.
È una zona davvero piacevole. Ma una volta uscita dallo scintillante distretto pedonale, il resto della città assume un aspetto polveroso. Come fosse un luogo dimenticato.
Vorrei tanto un posto dove rifugiarmi a leggere
Una riflessione che faccio su Pescara ogni volta che parlo di lei è che sembra non avere fretta di essere alla moda. O interessante. Oppure attraente.
Non è detto che sia un lato negativo, però proprio non mi spiego perché non valorizzi anche in inverno il dono più grande che ha: il mare. Provate a pensarci. Come può essere che su una spiaggia tanto immensa e fonte d’ispirazione non ci sia un caffè aperto da settembre a giugno? Escludendo il Mc Café ovviamente!
Lo ammetto, ho un debole per i bar stile scandinavo che invadono mezzo mondo e che, ovunque io vada, mi danno voglia di rimanerci a leggere mentre bevo caffè americano. Il dramma per una come me è che a Pescara non ce ne sono. E quando ho immaginato di crearne uno io, con le vetrate direttamente rivolte al mare e qualche tavolo per lavorare, gli amici pescaresi mi hanno detto che non ci sarebbe venuto nessuno, che il problema è culturale.
La prima impressione è che la vita intellettuale di Pescara sia rivolta al passato. Ancora oggi solo il nome di D’Annunzio e di Flaiano (entrambi nati qui) viene affiancato agli eventi più significativi della città. Nulla di male visto che hanno avuto un peso culturale grandioso in Italia e sono motivo di orgoglio e di identità per Pescara.
Ma a un’analisi più attenta Pescara è piena di creativi e imprenditori che vogliono fare della città un luogo più contemporaneo e stimolante. Giovani e meno giovani che, con tanta passione per ciò che fanno e amore per questi luoghi, hanno scelto di mettersi in gioco qui e non altrove. Un esempio particolarmente riuscito è il Festival dei Libri e Altre Cose, il FLA, che ogni anno attira a Pescara scrittori di grido e intellettuali da ogni parte d’Italia.
Personalmente frequento da due anni un corso di scrittura creativa in un luogo un po’ magico in centro a Pescara. Si chiama Scuola Macondo, l’Officina delle Storie e l’ha fondata un talentuoso musicista e scrittore di Francavilla e una brillante linguista e filologa di Pescara. Oppure l’Officina delle Invenzioni, casa di Arago Design, creata da due architetti-designer pescaresi le cui creazioni sono state raccontate sui giornali e in esibizioni di livello mondiale, tra cui la 54ª Biennale di Venezia. Vi ho citato solo ciò che conosco, ma chissà quante altre realtà imprenditoriali di questo calibro, artistiche e non, esistono a Pescara!
E ora qualche indirizzo…
A questo punto voglio anche consigliare i miei luoghi eletti per mangiare e comprare vestiti. Cominciamo con il bar Cremeria La Bresciana (leggi la sua bella storia qui http://www.cremeriabresciana.it) in Via Trento, un’istituzione per i pescaresi con i maritozzil dalle farciture strepitose da gustare sugli stessi tavoli di formica di 60 anni fa.
Le irresistibili pizzette di Trieste nella centrale Via Firenze, esportate anche a Londra e Madrid, attenzione, una tira l’altra.
La simpatica Bottega delle Streghe, in Corso Manthonè, il Milonga Vintage, in Via Lombardia, dove trovo sempre qualcosa di unico.
E infine il bar Radenvù per l’aperitivo e il Brancaleò per la cena o un thè nel pomeriggio, perché oltre all’ottima cucina (anche vegetariana) il suo arredamento e l’atmosfera mi fanno sentire come in Paris negli anni ‘20.
Un luogo unico al mondo
Ma la fortuna di Pescara rimane la natura che la circonda. Intorno a lei, come per miracolo, mare, colline e i massicci innevati della Majella sembrano vicinissimi come in nessun altro posto.
Alla fine a Pescara ci si rimane perché si vive bene con poco e si respira una leggera brezza di vacanza tutto l’anno; persino d’inverno, quando il mare è in tempesta e si vedono le calotte innevate delle prime montagne. E poi ogni cosa è vicina da raggiungere: cinema, centri commerciali, associazioni culturali, laboratori creativi e perfino l’Ikea, a 10 minuti di auto dal centro di Pescara.
E nel weekend si può scegliere tra litorali meravigliosi, con spiagge affacciate sui romantici trabocchi, passeggiate tra i monti del Parco Naturale del Gran Sasso e quello della Majella, gite ai borghi fermi nel tempo sparsi dalla costa all’entroterra.
Mentre scrivo e descrivo questo mosaico di luci e ombre di Pescara la sento già la nostalgia che proverò degli anni trascorsi qui, quando — e se — un giorno vivrò da un’altra parte.
Sono tanti i motivi per cui porto questa città nel cuore. Dalle persone conosciute e che nel tempo sono diventate amici fraterni, alla possibilità di guardare l’Italia da una prospettiva nuova, non più milanocentrica.
In questi anni ho scoperto quanto amo la lentezza: ho goduto dei tramonti dal balcone a Sambucity, curato le mie piante, esplorato angoli di Abruzzo pazzeschi, partecipato a sagre di ogni tipo, apprezzato la dolcezza di starmene seduta tra i parenti di amici che hanno accolto me e Marco come due figli.
E ho vissuto tutto questo con l’entusiasmo che un tempo riservavo ai miei viaggi dall’altra parte del mondo.
Ecco perché Pescara rimarrà per sempre la prima parte di un nuovo modo di sentire il quotidiano, il primo capitolo di una vita che non mi è semplicemente capitata ma ho scelto. E come ho imparato alla Macondo non può esistere una buona storia senza un buon inizio.